
I problemi comportamentali del Segugio italiano in relazione alla sua selezione.
30 Aprile 2022
Seminario I Segugi: dialogo sul benessere di un cane da lavoro
1 Agosto 2023Sono diverse le deviazioni e le proiezioni umane che incidono negativamente sull’essere e sul vivere da cani: dall’abitudine di coprirli anche quando non ve n’è alcun bisogno, alla smania di vestirli con veri e propri abiti, dal rimpinzarli continuamente di premietti, all’utilizzarli in competizioni sportive per farsi grandi tramite le loro vittorie, dal tenerli relegati in serragli e deprivati di qualunque forma di socialità, al costringerli a frequentare l’umanità scarrozzandoli in passeggino anche quando, vecchi e stanchi, starebbero benissimo a casa loro.
Se, fino ad alcuni anni fa, era plausibile rintracciare nel nostro rapporto con il cane il desiderio, più o meno consapevole, di rimanere in contatto con la natura che ancora aleggiava da qualche parte dentro di noi, oggi molti cani subiscono la sorte di rivestire il ruolo di veri e propri figli umani. Sembra pertanto che i cani siano oggi gravati da un compito ben più impegnativo rispetto al passato, quello di far sopravvivere la nostra affettività.
È innegabile, infatti, che le relazioni tra esseri umani siano sempre più deteriorate, che ci sia sempre meno disponibilità a prendersi cura degli altri e che molte manifestazioni d’affetto vengano mediate dalla tecnologia. Il cane ci chiede di occuparci di lui, necessita della nostra presenza fisica, vuole carezze e attenzioni ed è capace di “strapparcele” anche nei nostri momenti peggiori, sa tenere aperto uno spiraglio per le emozioni positive in un panorama per lo più costellato da sentimenti inariditi e, almeno per ora, non può leggere i nostri messaggi di whatsapp.
Rispetto ad un figlio, il cane ha molti vantaggi: vive meno, costa meno ed è potenzialmente meno impegnativo sotto diversi punti di vista, a patto però che non si cancellino completamente i suoi bisogni fondamentali rendendolo ingestibile, irritabile, facilmente eccitabile, rumoroso, disubbidiente, mordace. Quando il cane fa troppo il cane manifestando le necessità di specie e di razza (spesso ignorate dal proprietario), la tenacia diventa “è un testone”, la curiosità diventa “mi strattona al guinzaglio”, la possessività e la difesa della proprietà diventano “ringhia e adesso ho paura” e via così con una serie di etichette negative affibbiate a comportamenti e risposte che il cane attua istintivamente in relazione all’ambiente col quale si relaziona. Scordandoci, peraltro, di essere stati noi, con la selezione artificiale, a spingere su determinati caratteri piuttosto che su altri.
Ci siamo talmente disabituati ad avere a che fare con l’alterità animale e siamo talmente compressi dal punto di vista emotivo che qualunque stato d’animo paia andare oltre le righe va immediatamente ricondotto all’ordine. Un cane si può permettere di esprimere emozioni negative e relativi comportamenti, per noi questo è inaccettabile poiché la maggior parte delle volte abbiamo proiettato su di lui le nostre idealizzazioni ancora prima di portarlo a casa e raramente siamo disposti ad aggiungere un fattore di stress a esistenze che ne sono già piene.
Un cane che non sappiamo gestire perché non siamo disposti a metterci in discussione, va ricondotto a più miti consigli attraverso l’uso di farmaci, castrazioni chimiche o permanenti, sterilizzazioni. Questi rimedi, spesso fallimentari, sono l’antidoto alla nostra paura di doverci guardare allo specchio e di cercare un compromesso con quell’essere che improvvisamente scopriamo appartenere ad un’altra specie.
Un classico esempio di quanto sto dicendo lo ritroviamo nelle adozioni di cani da lavoro da parte di proprietari con vite sedentarie o incapaci di andare verso i bisogni dell’animale. Questi cani hanno la dote di manifestare in maniera molto chiara cosa vogliono e sanno scombussolare ben bene vite, fino al loro arrivo, tranquille.
Se dunque il cane non è più il trait d’union tra essere umano e natura e se il primo si distanzia sempre più dalla seconda, per sentire ancora quella fiamma di selvaticità dentro di noi occorre un animale simbolicamente più potente, capace di incarnare miti e leggende, con aspetti di wilderness e al contempo di familiarità. Ecco che il lupo assurge perfettamente a quell’immagine di libertà agognata e perduta e che ucciderlo significherebbe annichilire ogni speranza di salvezza dal giogo della vita.
L’odierna idealizzazione del lupo che, nell’immaginario collettivo urbano, ha spodestato il cane, non ha attecchito nello stesso modo in coloro che ancora mantengono un rapporto pragmatico con la terra e gli animali ed è qui che si crea un’ulteriore spaccatura tra città e campagna. Il mondo rurale conserva quegli aspetti di libertà altrove perduta e i suoi cani, ne sono l’emblema, forse l’ultimo. I cani da pastore, i cani sulle aie, quelli da tartufo e i cani da caccia possono ancora vivere in una dimensione ormai perduta dai cani urbani, ma non sappiamo quanto ancora questo potrà durare, perché chi non ha libertà, né ha il coraggio di conquistarsela, spesso vuol negare e distruggere quella altrui.